Da tempo Luigi Fortunato, Daniele Gioiello e Matteo Pierro stavano pensando a come ritrovare le tracce di questo disastro. Il passo iniziale è stato quello di raccogliere notizie sull’evento. Oltre ai ricordi di persone anziane hanno recuperato un articolo del New York Times dell’8 novembre 1952 nel quale si dava la notizia di un aereo dell’aviazione degli Stati Uniti caduto sulla vetta di Monte Lo Spagnolo a ovest di Salerno. Avendo la certezza dell’evento i ricercatori hanno fatto un sopralluogo con i metal detector nella zona indicata dalle fonti. Dopo un paio d’ore di ricerche, sono spuntati alcuni frammenti di alluminio sul crinale di un costone roccioso a circa 1000 metri d’altezza. Agli occhi esperti dei ricercatori (questo è il loro terzo ritrovamento di un disastro aereo nella provincia di Salerno) essi sono apparsi subito come pezzi della fusoliera di un aereo. Recuperando altre piccole parti essi sono arrivati alla base di una parete rocciosa a pochi metri dalla vetta dove hanno ritrovato un’alta concentrazione di parti metalliche, il punto dell’impatto.Ma di che aereo si tratta? Luigi Fortunato spiega: “Dalle nostre ricerche abbiamo appreso che era un cacciabombardiere bimotore A-26. L’aereo venne introdotto nell’aviazione degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale ed ebbe un notevole successo tanto da essere impiegato anche negli anni successivi con la denominazione di B-26 Marauder".
Cosa ci faceva un aereo da caccia nei cieli della Campania nel 1952? La risposta arriva dal dossier relativo all’incidente che l’Ufficio Storico dell’Aviazione degli Stati Uniti, una sezione del Pentagono, ha gentilmente messo a disposizione di Matteo Pierro. Il ricercatore lo illustra: "Da esso si apprende che l’aereo apparteneva al 168° Squadrone da bombardamento dell’USAFE di stanza a Laon in Francia.
In quei giorni del 1952 l’unità si trovava in Italia con base a Capodichino per partecipare all’esercitazione delle forze del Patto Atlantico denominata Long Step. La mattina del 7 novembre la squadriglia del maggiore Jack Telford composta da 6 aerei B-26 aveva come obiettivo la simulazione di un attacco a bassa quota contro un convoglio di navi nel Mediterraneo.
Il maggiore Telford era un veterano della seconda guerra mondiale con centinaia di ore di volo e innumerevoli missioni; aveva molta esperienza avendo pilotato diversi aerei fra cui l’A-20 e il B-25. Dopo aver portato a termine la missione Telford ordinò ai suoi piloti di fare rotta sull’aeroporto di Capodichino assegnando loro diverse quote di navigazione a causa di un peggioramento delle condizioni atmosferiche. Un aereo della formazione aveva già intrapeso la strada del ritorno qualche ora prima a causa di problemi all’apparato radio.
In fase di atterraggio il pilota perse il controllo dell’aereo che andò a fracassarsi sulla pista senza provocare alcun danno all’equipaggio. Quest’incidente rese la pista dello scalo napoletano impraticabile per alcune ore e costrinse due aerei della squadriglia a fare rotta sull’aeroporto di Roma. Altri due aerei atterrarono alle 19.51 quando l’ostacolo era stato rimosso. Mancava all’appello l’aereo del comandante Telford".
I rapporti presenti nel dossier riportano due messaggi radio del maggiore in cui affermava di essere a una quota di 2000 piedi (circa 600 metri) e di aver oltrepassato la città di Napoli senza però riuscire ad individuare l’aeroporto. Dopo queste trasmissioni non si ebbero altre notizie. Alle 18.55 il B-26 AF 5652 del maggiore Telford si schiantò contro la parete della montagna uccidendo sul colpo lui e il suo navigatore, il capitano Jack J. Gilbert.Come mai un pilota tanto esperto volava a così bassa quota in una zona circondata da montagne che superano i 1000 metri? E’ lecito ipotizzare che Telford avesse scambiato a causa della pioggia e della poca visibilità il golfo di Salerno con quello di Napoli. Egli era quindi convinto di essere nei pressi dell’aeroporto di Capodichino. Le testimonianze di quanti assistettero alla tragedia da terra sono concordi nell’affermare che l’aereo volava molto basso e che a nulla valse l’estremo tentativo di far rialzare il velivolo quando era oramai troppo vicino alla parete rocciosa. Dal dossier si apprende che i soccorsi furono immediati. Lo svolgersi della tragedia ebbe molti testimoni sia a causa del potente rumore prodotto dai motori a bassa quota sia a motivo dell’esplosione e del forte incendio che si sviluppò a seguito dell’impatto. Dall’Abbazia di Cava partirono due squadre di volontari guidate dai padri Anselmo Serafino, un provetto alpinista, e Urbano Contestabile. Nonostante l’oscurità e la pioggia battente i volontari riuscirono a raggiungere la cima dove non poterono far altro che constatare la totale distruzione dell’aereo e la mancanza di supersiti. Era quasi mezzanotte quando i vigili del fuoco ritrovarono alcune membra umane carbonizzate.In questa triste vicenda ebbe una parte anche Mamma Lucia, la pia donna cavense che negli anni successivi alla seconda guerra mondiale si impegnò per dare una dignitosa sepoltura alle centinaia di soldati che giacevano in tombe improvvisate sul campo di battaglia di Salerno. Il giorno successivo alla sciagura volle vedere i poveri resti degli sfortunati aviatori e si rese conto che mancavano molte parti per cui decise di recarsi sul luogo del disastro guidata da un carbonaio di Sant’Arcangelo. Lì, cercando fra dirupi e burroni, riuscì a ritrovare le membra mancanti delle vittime. Fra l’altro, insieme ai frammenti dell’aereo i ricercatori hanno ritrovato una spilla da balia. Tale accessorio, di sicuro poco consono alla dotazione di un aviatore, appare come una muta testimonianza della presenza in loco dell’infaticabile donna di Cava dei Tirreni.
La sua impresa, come quella dei soccorritori fu veramente eccezionale. Daniele Gioiello afferma: “Giungere sul luogo dell’impatto, che si trova in una zona impervia e poco accessibile, è per una persona giovane e allenata molto impegnativo anche se lo si fa di giorno e con il bel tempo. Pensare che ci si è arrivati di notte con la pioggia battente come fecero i soccorritori o con i 65 anni di Mamma Lucia lascia stupefatti”.I ricercatori stanno adesso cercando di ritrovare i familiari dei piloti per informarli di quanto hanno recuperato e appreso. Inoltre, hanno messo a disposizione i frammenti dell’aereo all’Associazione SALERNO 1943 (http://www.associazionesalerno1943.it/)con la quale collaborano. L’associazione si occupa di recuperare la memoria storica della seconda guerra mondiale nella provincia di Salerno e la vicenda in questione sia per il velivolo implicato che per i protagonisti vi è strettamente connessa. A tal proposito Sergio Zinna, uno dei fondatori, dichiara: “Contiamo di esporre i frammenti dell’aereo insieme ai molti reperti dell’operazione Avalanche di cui disponiamo nel corso di una mostra che allestiremo nel mese di settembre. In tal modo speriamo di mantenere vivo il ricordo di questa tragica vicenda.”
Clicca QUI per leggere l'articolo pubblicato, all'epoca dell'incidente aereo, dal giornale americano New York Times
(Foto dei Ricercatori)
(Pezzi ritrovati sul luogo della sciagura)
(Alcuni oggetti ritrovati)
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